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CRONACHE DALLA POLINESIA : intervista a Michele Salvatore !

Posted on: 24/01/2010

Voglio inaugurare questo blog pubblicando una delle più belle interviste che abbia mai fatto o per meglio dire una vera e propria “chiacchierata”, quella con un viaggiatore doc Michele Salvatore, conosciuto grazie agli amici di turistipercaso.it

Quando e come sei arrivato in Polinesia e perché la Polinesia ?

«La mia storia è strettamente legata alla mia barca il Gulliver quindi a volte Michele e il Gulliver diventano la stessa cosa. Il Gulliver, una vecchia signora svedese, alla quale non daresti mai 36 anni e  due giri del mondo abbondanti. Gli ospiti che salgono a bordo ne restano sempre sorpresi e affascinati. Una barca costruita come una volta: solida, marina, elegante, calda e accogliente. Un Hallberg Rassy 41, il numero 47 dei 74 costruiti dal cantiere. Poco più di 10 anni or sono è partito dall’Elba per un giro del mondo o per meglio dire, stare in giro per il mondo. Si perché il Gulliver ha sempre avuto l’ambizione del navigare viaggiando tra le genti, le culture e le tradizioni dei popoli che man mano incontrava sulla sua rotta, quindi ad ogni isola il suo tempo, il tempo per entrare in relazione con la sua gente e le sue abitudini, la sua cucina, la loro storia. Un mondo di relazioni anche in mare, con quelle “isole” galleggianti delle quali nessuna carta nautica riporta la posizione: il popolo del mare. L’incontro con altre barche che condividono la tua rotta è anch’esso un arricchimento continuo, poiché ognuno porta con se una parte della propria storia, della sua cultura e delle sue tradizioni quindi un viaggio tra le genti che viaggiano: si può chiedere di più allo stare in giro per il mondo? La rotta classica, dal Mediterraneo alle Canarie, poi i Caraibi e il Venezuela, ma non era ancora il mio viaggio. Los Roques, Les Aves, le San Blas degli indiani Kuna, mi hanno dato voglia di continuare e fare il grande salto in Oceano Pacifico. A Panama gli ispettori del canale non fanno neppure la misurazione del Gulliver, la barca ha già fatto il canale sotto il nome di Aghir e scopro di non avere un 41 piedi ma un 45. La delfiniera con i suoi due fiocchi e salpancore è parte integrante della barca! Le splendide e irripetibili Galapagos e poi la traversata più lunga fino alle Marchesi. Il Gulliver è dall’altra parte del mondo ed è per davvero un altro mondo, quello che immaginavo di incontrare in questo viaggio, la realizzazione di un sogno. Qualche mese alle Marchesi poi altri mesi nelle splendide Tuamotu per arrivare poi nelle Isole della Società, un giusto compromesso o meglio fusione tra le montagne delle Marchesi e le lagune delle Tuamotu. Questo popolo mi ha stregato con la sua gentilezza e la sua ospitalità, comincio ad appassionarmi alla sua storia, alle sue tradizioni, leggo, studio e confronto sul terreno quanto appreso. Il modo di vivere dei polinesiani e il contesto in cui vivono, mi fanno svegliare ogni mattino con il sorriso sulle labbra: meglio fermarsi per un po’. Da quattro anni, da maggio ad ottobre il Gulliver fa sognare e vivere una’esperienza unica a molti italiani che vengono in Polinesia. Una crociera nei mari del sud tra isole dai nomi mitici come Bora Bora, Huahine, Tahaa, Raiatea e il capitano, accompagnato dalla nostroma Ludovica, racconta della Polinesia e dei polinesiani. Come si suol dire, l’isola più interessante è certamente la prossima, quindi il Gulliver proseguirà il suo viaggio, probabilmente su una rotta non propriamente classica . A nord della Polinesia ci sono le Lines Island e poi a Ovest , sulla linea dell’equatore, quell’insieme di piccoli e sperduti atolli che formano le Kiribati: è un’ipotesi di viaggio tra gente dai rari e sporadici incontri con il popolo del mare. Il giorno in cui, svegliandomi il mattino, mi guarderò intorno e non mi spunterà il solito sorriso, beh , forse è arrivato il momento di togliere gli ormeggi e dare vento alle vele».

Come si svolge la tua giornata tipica?
«Con il Gulliver sono spesso in crociera . Oggi per esempio sono ancorato sul basso fondale del motu Tapu, vicinoall’uscita della Pass di Bora . Sono arrivati i quattro fanciulli in viaggio di nozze ed è iniziata la settimana tra le isole sottovento che ci porterà come meta finale a Raiatea. Sono dei ragazzi in gamba a prima impressione, più curiosi di conoscere che di visitare e questo è un buon inizio.A volte mi trovo a riflettere su questo scorcio di vita e mi dico che sono fortunato a poter condividere una settimana del loro viaggio di nozze. Coppie che si aprono ad una nuova vita in comune, spesso sposate da 2 o 3 giorni , quindi con tutto l’entusiasmo che è riservato a chi ha voluto credere ad un futuro d’amore e di passione. Energia positiva, entusiasmo, come gli occhi di un bambino che scopre un nuovo mondo. Una settimana in barca, a stretto contatto per quasi 24h al giorno può equivalere ad una stretta frequentazione tra a amici di uno o più mesi sulla terraferma. Ci si scopre pian piano e ci si lascia con quel misto di emozione e commozione che a volte sfocia in qualche lacrimuccia all’ultimo abbraccio. Le magie ed il vissuto dell’esperienza polinesiana ravviva il ricordo e splendide amicizie nascono e si alimentano. A fine giornata mi ritrovo spesso con la gola un po’secca dovendo rispondere ad una montagna di domande e curiosità ma d’altra parte a cosa serve conoscere se poi non puoi condividere con gli altri?».

Si può parlare ancora del concetto di “autenticità” in Polinesia?
«Oramai esistono due “ Polinesie”: quella di Tahiti o meglio di Papeete che ne è la capitale, e delle altre isole ed arcipelaghi. Più ci si allontana da Tahiti è più l’autenticità risalta nella vita quotidiana dei polinesiani, nei loro modi di fare ed essere, nell’innata accoglienza che riservano al turista come nel pacato vivere di tutti i giorni. Anche Bora oramai sta perdendo molto dell’autenticità polinesiana, ma d’altra parte i turisti vengono a Bora solo per spendere montagne di denaro su un overwater ed è esattamente quello che cercano o che si fanno prenotare dalle agenzie di viaggio. Se si ricerca un viaggio vero in Polinesia si scelgono delle Pensioni di famiglia ed in queste certamente trovi ancora una Polinesia autentica che coccola il turista come qualsiasi viaggiatore d’altri tempi. Huahine, Raiatea, Maupiti, Tahaa nelle isole sottovento sono isole dove si può ancora respirare autenticità . Fakarava tra gli atolli delle Tuamotu è certamente il più autentico e selvaggio. Nelle Australi essendo toccate solo marginalmente dal turismo è tutto più naturale e vero. Le Marchesi poi, credo si possa parlare di vera autenticità, ma queste da sole varrebbero un viaggio…e che viaggio!!!».

Esistono ancora i “miti” polinesiani? Se sì, quali sono e quanto di vero c’è?
«I miti polinesiani sono legati a quelli dei mari del sud, ma erano miti per quell’epoca. Le prime navi che arrivarono nelle isole polinesiane si trovarono davanti ad una società nella quale la sessualità veniva vissuta in modo del tutto naturale, come il mangiare, il dormire, o andare a pescare. Siamo alla fine del diciottesimo secolo: le spedizioni di Wallis, Cook o il francese Bougainville tanto per citarne alcuni. Ancora una volta riflettiamo sul breve tempo trascorso tra la scoperta di queste isole ed oggi: poco più di 200 anni…non 2000!!!!
Le navi e i marinai venivano ricevuti con la classica e gioiosa accoglienza polinesiana, venivano organizzate feste con abbondanti libagioni e tanta frutta che i marinai sognavano da mesi; feste in onore di questi uomini che erano arrivati con le grandi canoe senza bilanciere e con una tecnologia sconosciuta. Le vahine erano “vestite” con un semplice pezzo di stoffa vegetale (tapa) e solo in occasione di danze con delle noci di cocco tagliate a metà sul seno. La loro innata grazia nei movimenti, la dolcezza dei tratti e il senso dell’accoglienza, contribuisce a creare un’immagine di donna desiderabile e dai facili costumi. Gli occidentali ne ebbero la conferma quando, a fine pasto, gli uomini polinesiani invitarono gli ospiti a dormire con le proprie donne nel loro farè! Questo comportamento, nella cultura polinesiana, era una forma di rispetto ed onore per l’ospite ma, potete immaginare, come fu vissuta dagli occidentali. Alla fine del diciottesimo secolo, in Europa, la sessualità era vissuta in tutt’altro modo, anzi non vissuta affatto se non repressa. Le donne erano vestite e coperte fino alle caviglie, il puritanesimo era imperante e il solo mostrare una parte insignificante della pelle era segno di una donna dai facili costumi. Un contrasto abissale di culture.
I racconti di viaggio fecero conoscere queste isole dei mari del sud e il loro modo di vivere e di conseguenza fecero nascere il mito della sessualità della vahine, come pure quella del “buon selvaggio”. Questo mito della sessualità non esiste così come vissuto in occidente; se al contrario si vuole parlare del mito della sensualità della vahine polinesiana, questo è un mito che ha tutte le ragioni di esistere. La vahine è l’immagine stessa della sensualità. Sensualità che afferma con la scelta di gioielli naturali per abbellirsi, capelli lunghi e profumati, il fiore all’orecchio, il pareo legato in modo da mettere in risalto la sua pelle ambrata e nutrita di monoi, sensualità che reclama con il suo portamento. È sufficiente osservare una donna polinesiana muoversi durante le danze, la gestualità o il mimo del suo viso per rendersene conto. Non importa l’età: una ragazza o una “mamà” o una “gran mamà” esprimono quasi lo stesso grado di sensualità nonostante il punto vita non sia da modelle. La maggior parte delle donne polinesiane oggi, sono religiose osservanti e difficilmente potrete osservare una polinesiana fare il bagno o prendere il sole sulla spiaggia in costume da bagno, le vedrete in riva alla laguna con pantaloncini al ginocchio e maglietta se vi va bene, altrimenti non le vedrete affatto in spiaggia. Molte donne polinesiane si lamentano oggi dell’immagine che viene trasferita di loro dallapubblicità, attraverso cataloghi patinati, cartoline ecc.: donne a seni nudi su bianche distese di sabbia, in tanga o addirittura seminude. Questa immagine non le appartiene, è un’immagine falsa e direi tendenziosa, un’immagine che vuole perpetuare il mito della sessualità polinesiana, se mai è esistito e non della loro sensualità. Le donne oggi in Polinesia sono la struttura portante della società, la stessa Assemblea polinesiana vede un altissimo numero di elette e nella maggior parte dei casi i vostri referenti durante la vacanza saranno donne».

Ci dici 3 cose che non bisogna assolutamente fare e 3 da fare assolutamente in Polinesia?
«Da non fare direi: non partecipare a escursioni che prevedono passeggiate sul reef o il dar da mangiare agli squali. tanto per avere un po’di adrenalina nel sangue. Non andare in giro mezzi svestiti (in particolare le fanciulle) per il villaggio o mettersi in topless su una spiaggia frequentata anche dai polinesiani. Non avere atteggiamenti derisori, nei confronti degli effeminati che certamente si incontreranno in viaggio poiché qui sono delle persone del tutto normali e degne di rispetto e non come nelle nostre culture.
Da fare assolutamente direi: lo snorkeling in uno dei tanti giardini di corallo, per entrare in un mondo fantastico e coloratissimo, magari all’interno di un’escursione in una delle tante lagune turchesi polinesiane. Visitare l’interno di un’isola come Raiatea, Huahine o Tahaa noleggiando un’auto o attraverso una escursione guidata. La terza cosa da fare assolutamente, ma vale in Polinesia come in ogni altro viaggio: essere curiosi e non dare mai niente per scontato».

Che idea hanno i polinesiani degli “altri”, in particolare europei e americani? Come vedono le nostre società?
«Beh come dicevo prima, bisogna sempre ricordare che la Polinesia è stata “scoperta” poco più di due secoli fa e i veri rapporti con l’occidente, li hanno da poco più di un secolo, quindi noi siamo il nuovo, l’evoluto, un obbiettivo da raggiungere, il benessere, il consumismo. Un po’ come in tempi non remoti noi vedevamo l’America. Qui poi sono a contatto con un certo tipo di europei e americani; coppie che spendono tanto per dormire su una palafitta seppur con aria condizionata, quindi hanno un’idea di società di benessere. I polinesiani per loro natura e cultura non sono razzisti o discriminatori, tutt’altro. Nella loro società la diversità è sempre accettata e spesso è fonte di ricchezza in un modo o nell’altro. Purtroppo chi sogna e ambisce a diventare europeo o americano sono i giovani e questo è diventato il vero problema in Polinesia. Una popolazione dove la maggioranza è sotto i 20 anni. I giovani sono in mezzo ad un guado: da una parte la vecchia cultura dei genitori, quella autenticità di cui prima si parlava e dall’altra, l’immagine accattivante che viene trasferita dai media televisivi francesi e americani. Il risultato purtroppo è che sempre più si ricorre ad alcol o droghe leggere, per superare il senso di frustrazione e impotenza».

Ci descrivi brevemente qualche uso e costume particolare della cultura polinesiana?
«Ce ne sono molti, per esempio quello dell’interramento della placenta. Quando nasce un bimbo, ancora oggi, viene conservata la placenta e questa viene interrata nel giardino di casa. Sopra viene piantato un albero da frutto, in genere un “Urù” (l’albero del frutto del pane, un frutto grande come un melone che viene normalmente cotto e si usa mangiarlo come il pane) questo albero crescerà insieme al bimbo e quando sarà grande, potrà nutrirlo con i suoi frutti.
L’accoglienza polinesiana è rinomata: la Polinesia e la cultura dei fiori è un tutt’uno ed ogni occasione è buona per donarne, è un gesto di benvenuto, un’anteprima della dolcezza con la quale sarete accolti. Quando si arriva in Polinesia ci sarà qualcuno che vi donerà una collana di fiori, ma non è solo per turisti, è un uso, una consuetudine tutta polinesiana. Ma il rito dell’accoglienza non è tutto. Anche il rito dell’addio, dei saluti, è altrettanto “Polinesiano”. Vi verrà donata una collana di conchiglie e questa è una forma di augurio di ritorno al Fenua (Terra di Polinesia). Infatti nelle leggende polinesiane, si racconta che il mondo nasce da una grande conchiglia formata dal cielo, l’universo; le terre emerse sono contenute dalla grande conchiglia, formata dagli oceani; l’uomo nasce dalla conchiglia del ventre materno, quindi tutto è riconducibile alla conchiglia. Il miglior augurio che si possa fare è quello di…ritornare alla conchiglia, alle origini. Che poesia in tutto questo!! Questi sono i mari del sud!!!».

Il rispetto per l’ambiente è un problema sempre più attuale. Che rapporto hanno i polinesiani con la natura? Cosa ne pensano del problema dell’inquinamento?
«Prima dell’arrivo degli europei, i polinesiani vivevano in armonia con la natura. Tutti i materiali erano in vegetale o animale, addirittura quando si pescava in laguna, il pesce doveva essere tirato in secco e poi pulito, per non inquinare la laguna con il sangue del pesce. L’arrivo della “civiltà” ha portato il fardello dell’inquinamento, quindi è divenuto anche qui un problema di attualità. Fortunatamente siamo 260.000 abitanti, su una superficie grande come l’Europa con tanto mare dentro e intorno quindi non risulta evidente, ma in compenso non ci sono industrie, non ci sono impianti di riscaldamento e il traffico auto è limitato a Tahiti, nelle altre isole è più che sostenibile. Il Polinesiano adulto ha ancora un buon rapporto con la natura, ma soprattutto perché ha conservato ancora il savoir faire di una volta, quindi con il vegetale riesce a costruire di tutto. Da qualche hanno su telepolynesie fanno qualche spot per attirare l’attenzione sul problema rifiuti, ma c’è ancora molto da fare».

Oggi molto spesso ci viene da dire “lascio tutto, cambio vita e me ne vado in un altro paese!”, magari in Polinesia, aggiungo io. Ritieni che sia fattibile, anche a livello burocratico cambiare vita e trasferirsi radicalmente in paesi così lontani?
«Credimi, è solo un modo di dire! Su mille persone che lo dicono spesso, solo una, presentandosi un’occasione per farlo, lo fa per davvero. Io ne so qualcosa, poiché ricevo una media di dieci e-mail al mese, di gente pronta a trasferirsi, ma poi, se gli scrivo che ci sarebbe una pensione di famiglia disponibile ad essere persa in gestione o un bar o un lavoro come commessa, in un negozio di perle c’è il silenzio assoluto oppure un timido “ beh ci penso un po’…sai c’è la mamma…il lavoro…la casa… Il problema vero è che fare una scelta di questo genere, comporta in ogni caso sacrifici e coraggio. Lasciare qualcosa che seppur non piace è certo, per qualcosa di incerto, credimi, non è facile! E poi, nella maggior parte dei casi, si vuole fuggire da qualcosa o qualcuno e risulta più semplice fuggire che affrontarlo. Come diceva un filosofo greco, che se ne intendeva di uomini:“ovunque andrai porterai con te il tuo peggior nemico: te stesso”. Il trasferirsi deve essere una scelta serena e ponderata, se non si vuole andare incontro ad un fallimento e questo sì che è molto pesante da digerire poi. Comunque in Polinesia, a meno che non si voglia investire e dare lavoro anche ai polinesiani, è molto difficile avere il permesso di soggiorno e, in questi ultimi tempi, sono ancora più stretti i cordoni poiché anche qui la disoccupazione colpisce. Con il mio lavoro faccio di conseguenza lavorare altri polinesiani, oltre a favorire il turismo in Polinesia e dopo aver lavorato, pagate le imposte e la previdenza sociale, ecc., ecc., per 5 anni solo l’anno scorso, ho ricevuto la carta come residente“straniero”. Gli anni precedenti ho dovuto rinnovare annualmente la carta di soggiorno!».

Quando ti ho contattato la prima volta per l’intervista, mi hai accennato al Lago di Garda… Cosa ti manca dell’Italia e cosa non ti manca?
«Negli ultimi cinque anni, sono sempre tornato in Italia con la mia compagna Ludovica per tre mesi, da dicembre ai primi di marzo e certamente una cosa che mi manca, poiché non la vivo da più di un decennio, è l’alternanza delle stagioni e un anno o l’altro, vorrò rivedere l’autunno e la primavera. Anche se qui si mangia molto bene, la varietà di pietanze che c’è in Italia è insuperabile e poi ho un debole per la mozzarella e la mortadella e qui proprio non si trovano!!!!!! Un po’ gli affetti, ho ancora una mamma ottantaquattrenne e cinque fratelli con relativi nipoti, la nuova famiglia con Ludovica a Venezia: gli affetti! Non mi manca quel modo tutto italiano di far politica e tirare a campare: se solo l’Italia si potesse vedere dall’estero, penso che in un moto di rabbia cambierebbe tutto o quasi! Non mi mancano i vestiti nuovi e l’ultimo cellulare o la tv al plasma che in Italia mi dicono, essere un consumo non in calo. Quando vivi in barca da più di dieci anni riesci a discernere perfettamente il necessario, l’utile e il superfluo e impari che le risorse costano e non sono inesauribili».

Intervista di Angela Di Matteo

Foto di Michele Salvatore

3 Risposte to "CRONACHE DALLA POLINESIA : intervista a Michele Salvatore !"

…molto interessante

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Bella intervista, grazie mille!

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Ho letto solo ora questa intervista che trovo molto interessante e affascinante per il tema trattato! vi sarei grato se poteste girarmi la mail del signore intervistato, grazie mille!!!

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CITAZIONI & AFORISMI

‎Salivo per un sentiero di montagna e riflettevo. Se si usa la ragione il carattere s’inasprisce, se si immergono i remi nel sentimento si è travolti. Se s’impone il proprio volere ci si sente a disagio. È comunque difficile vivere nel mondo degli uomini. Quando il malessere di abitarvi s’aggrava, si desidera traslocare in un luogo in cui la vita sia più facile. Quando s’intuisce che abitare è arduo, ovunque ci si trasferisca, inizia la poesia, nasce la pittura. Non è stato un Dio, e neppure un Demone, a creare il mondo degli uomini. Ma solamente degli esseri umani, proprio come i nostri indaffarati vicini di casa, i nostri dirimpettai. Vivere in questo mondo creato da semplici uomini può essere sgradevole, ma dove emigrare? Dovremmo avventurarci in un luogo non umano, ammesso esista. Ma un tale luogo sarebbe ancora più inabitabile del mondo umano. Poiché è difficile vivere in un mondo da cui non si può evadere, si deve tentare di renderlo più accogliente così da poterci abitare meglio, sia pure per il breve tempo concesso all’effimera vita umana - (Guanciale d’erba di Natsume Soseki)

CONSIGLI DI LETTURA

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Nel 1943 il capitano James Gould, del Field Security Service, il servizio di spionaggio britannico, arriva a Napoli a bordo di un grosso camion. Conosce un po' di italiano, avendo trascorso diverse settimane a seguire gli insegnamenti di un conte toscano dall'aria funerea che gli ha fatto leggere Dante ad alta voce. Per l'intelligence britannica può dunque egregiamente svolgere il suo compito di "ufficiale dei matrimoni", di soldato, cioè, incaricato di verificare che le "fidanzate" dei suoi commilitoni desiderose di trasformarsi in "mogli" siano "idonee" e di "buon carattere", vale a dire che non siano prostitute. Gould è un giovanissimo capitano di scarsa esperienza nel commercio col mondo. Ha appena ricevuto una lettera in cui Jane, la sua fidanzata, l'ha piantato per un aviatore polacco in grado di darle, ha osato dire, quello che le mancava. Inesperto e, tuttavia, deciso a onorare la sua missione, il capitano si ritrova catapultato nella Napoli del '43. Un giorno il capitano viene raggiunto dalla telefonata di un suo pari italiano che gli annuncia che dalle parti di Boscotrecase, un paese situato nella campagna attorno alla città, è stato avvistato un carro armato tedesco. James Gould accorre per imbattersi nella più strabiliante delle scoperte: il carro armato è guidato da un'affascinante giovane donna dai lunghi capelli neri, intenzionata a trasformarlo nel trattore che le è stato trafugato dalle truppe d'occupazione...

OPERA D’ARTE IN CORSO DI AMMIRAZIONE

"Egli mi pose a giacere su questa roccia, mi dice di guardarti da mattina a sera e dirti sempre: sii felice. Felice."

LA FANCIULLA SULLA ROCCIA A SORRENTO - Filippo Palizzi, 1871, olio su tela, cm 55x80, Fondazione Balzan Badia Polesine (Ro) - Sul bordo dello scoglio vi è una scritta: Egli, che mi pose a giacere su questa roccia, mi dice di guardarti da mattina a sera e dirti sempre: sii felice. Felice.

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